Asides

Il Microbiota, un illustre sconosciuto – seconda parte

DISCLAIMER E NOTE LEGALI
Intestino e microbiota

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del nostro microbiota.

Lactobacillus caseiPersonalmente nella mia alimentazione faccio grande uso di verdura cruda. Può sembrare banale ma anche il metodo di cottura più delicato (il vapore ad esempio) finisce per impoverire notevolmente il valore nutrizionale di ogni ortaggio o, salvo alcune eccezioni, la biodisponibilità dei suoi micronutrienti. Non solo, alcuni alimenti con la cottura mutano in modo determinante la quantità di zuccheri e il loro indice glicemico. Questo accade per un processo che tecnicamente si chiama gelatinizzazione dell’amido che altera in modo anche molto marcato l’indice glicemico.

Ecco quindi che un etto di carote lesse avrà un indice glicemico molto più alto delle sorelle mangiate crude. Per il benessere del nostro intestino poi, è essenziale mangiare buone quantità di verdure crude perché le fibre in esse contenute, oltre ad un effetto di ripulitura “meccanica” del nostro intestino creano le condizioni ideali per la colonizzazione dell’intestino da parte di quei microrganismi a noi tanto favorevoli.

Il vantaggio di mangiare verdure crude

Mangiare verdure crude ci mette nella condizione di mangiare cibi “vivi”. Questo particolare potrebbe sembrare una cosa di poco conto ma, al contrario, è di fondamentale importanza perché così facendo oltre all’alimento introduciamo nel nostro organismo piccole quantità di batteri che possono “collaborare” con noi per farci stare in salute (leggi più avanti le ultime scoperte sul trasferimento genetico orizzontale). Il calore della cottura infatti stermina letteralmente queste forme di vita che, in molti casi, sono un sopporto formidabile per la nostra salute.

Assicurarsi dell’origine (biologica se non addirittura biodinamica) lavare accuratamente le verdure è una pratica salutistica importante, non di meno dovremmo essere un po’ più coscienti del fatto che il nostro organismo è perfettamente in grado di fronteggiare (quando è in salute) gli “insulti” derivanti dall’introduzione di piccole cariche batteriche patogene. Quindi, se cuocere le verdure significa azzerare la presenza batterica (quella favorevole e quella sfavorevole al nostro organismo), preferisco di gran lunga mangiare verdura cruda.

Il Microbiota e i batteri

Il fatto di avere un microbiota sano è una condizione fondamentale per affrontare al meglio periodi di grande stress o adattarci a mutate condizioni ambientali. E’ scoperta recente che secondo alcuni studiosi sia attiva nel nostro intestino una collaborazione così stretta tra noi e il nostro microbiota da far ipotizzare uno scambio di materiale genetico.

Il processo, ben conosciuto per le forme di vita batterica, si chiama trasferimento genico orizzontale (TGO) e permette lo scambio di materiale genetico tra cellule non discendenti cioè non in rapporto “padre-figlio”. Questo spiega perché i batteri diventino molto rapidamente resistenti agli antibiotici.

Quando un batterio sopravvive ad un antibiotico non solo trasmette il suo DNA alle cellule figlie ma lo può trasferire anche ai batteri ad esso contigui. In questo modo la colonia diventa molto rapidamente in grado di adattarsi alle mutate condizioni ambientali massimizzando la propria capacità di sopravvivenza.

Bene, questo meccanismo sembra sia in funzione anche nel nostro intestino tra i batteri che costituiscono il nostro microbiota e le cellule del nostro organismo (intestino in primis). Sarebbe questo il meccanismo alla base di specifici processi di adattamento tipici di alcune popolazioni. Il Giappone, per esempio, il consumo tradizionale di sushi, tipicamente avvolto con le alghe nori, avrebbe messo in grado qran parte della popolazione di digerire questa alga. Infatti, insieme all’alga nori i giapponesi hanno mangiato per millenni anche un piccolo batterio (Zobellia galactanivorans) che produce l’enzima per digerire l’alga stessa. Il contatto prolungato con quest’ultimo avrebbe, grazie ad un processo di TGO, messo in grado l’intestino di molti giapponesi (dove è presente il Bacteroides plebeius ) di digerire l’alga nori, diversamente indigesta alla quasi totalità del restante genere umano.

Riferimenti e fonti:
Jan-Hendrik Hehemann, Gaëlle Correc, Tristan Barbeyron, William Helbert, Mirjam Czjzek and Gurvan Michel “Transfer of carbohydrate-active enzymes from marine bacteria to Japanese gut microbiota“;
La genetica del sushi

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Il Microbiota, un illustre sconosciuto – prima parte

DISCLAIMER E NOTE LEGALI
Lactobacillus casei

In un mondo fatto di slang alla moda microbiota umano è un termine che non suona granché bene, ugualmente diventarne dei buoni conoscitori credo che sia una delle chiavi principali per riappropriarsi (o mantenere) di uno stato di salute ottimale.

Quando ero piccolo, dopo una malattia per la cui cura erano stati impiegati antibiotici il mio pediatra mi prescriveva sempre una cura di fermenti lattici.

Intestino e microbiota

L’intestino è la sede del macrobiota

Solo tanti anni dopo ho capito cosa cercava maldestramente di fare quell’ometto simpatico e burbero al tempo stesso. Consapevole che uno degli effetti principali (non secondari) degli antibiotici è quello di azzerare la flora intestinale, quello che cercava di fare era correre ai ripari immettendo forzosamente grandi quantità di questi microrganismi nella speranza che accelerassero il processo di ricolonizzazione del lume intestinale.

Passati quarant’anni si è capito con molti studi che quella che una volta liquidavamo come flora intestinale in realtà è un organismo complesso, da qui il termine, ormai alla moda, di microbiota.
A titolo di massima chiarezza riporto la definizione pubblicata da Wikipedia alla voce microbiota umano:

“Il microbiota umano è l’insieme di microorganismi simbiontici che convivono con l’organismo umano senza danneggiarlo.”

Il grosso passo in avanti compiuto dalla scienza medica è stato quello di capire che ogni essere umano ha un suo specifico microbiota che si forma in relazione al nostro stile di vita e alla nostra alimentazione. Da questo si evince facilmente che non basta bere una fialetta di fermenti lattici per ottenere come ricompensa una flora intestinale in equilibrio. Alcuni studiosi sostengono infatti che una alimentazione scorretta “plasmi” per così dire un microbiota funzionale alla digestione di quel tipo di alimenti.

Per conseguenza la digestione e l’assimilazione di alimenti non particolarmente salutari farà produrre al nostro organismo una serie di sostanze (mediatori chimici e neurotrasmettitori) che influenzeranno in modo più o meno marcato l’umoralità della persona inducendola con più facilità a cibarsi proprio di quei cibi che servono al suo macrobiota per prosperare. Nel nostro intestino, sempre più spesso definito il nostro secondo cervello, infatti, prosperano migliaia di tipi diversi di microrganismi e quando qualcuno di questi aumenta spropositatamente la sua presenza è abbastanza normale attendersi che stimoli il nostro organismo a produrre tutti quei mediatori chimici che stimolino l’assunzione di cibi atti alla sua prosperità.

Ascoltare i propri bisogni alimentare per contribuire alla salute dell’intestino

Senza volersi spingere in affermazioni difficilmente dimostrabili quello che ho potuto provare su me stesso è che l’ascolto dei propri bisogni alimentari dovrebbe essere una cosa presa in seria considerazione. Si mangia pensando troppo e ascoltando poco. I nostri antenati (parlo delle tribù di cacciatori-raccoglitori) non avevano a disposizione holter metabolici, macchine ecografiche e laboratori di analisi. Avevano però piena consapevolezza del loro essere onnivori e delle necessità di alternare a seconda dei bisogni e delle capacità di approvvigionamento la propria alimentazione.

Ho già avuto modo di scrivere altre volte due concetti chiave del mio approccio all’alimentazione e non me ne farò scappare l’opportunità di farlo ancora.

Il primo concetto è che l’uomo è un animale “strutturalmente” onnivoro. Ce lo dice la sua dentatura, il suo stomaco e il suo intestino, né corto e adatto alla digestione delle proteine come quello dei grandi predatori, né lungo e adatto alla digestione delle fibre come quello dei grandi erbivori.
Il secondo concetto è che non tutto quello che introduciamo in bocca, mastichiamo e digeriamo diventa necessariamente una sostanza assimilata dall’organismo. Sfugge spesso il concetto che quello che inseriamo nel nostro organismo tramite la bocca rimane “altro” da noi fino a che un complesso sistema di enzimi, batteri e altre sostanze prodotte dal nostro organismo concorrono ad assorbirlo in forma semplificata.

Quello che ingenuamente si pensa è che una volta in bocca il cibo sia già parte di noi. Non esiste credenza più errata. Il nostro sistema digestivo è un tubo perfettamente impermeabile che si apre e permette il passaggio dei “nutrienti” solo ad alcune condizioni. Mantenere quindi la mucosa che riveste il nostro intestino in perfetta forma è quindi la strategia migliore che abbiamo per fare in modo che passi nel nostro sangue solo quello che ci è veramente utile.

L’intestino e l’aumento di allergie e intolleranze

La tendenza dilagante è che il nostro intestino stia, in media, diventando un “colabrodo”. L’effetto di questo processo, per dirla in parole semplici, è che le maglie della nostra rete intestinale si sono allargate permettendo il passaggio di sostanza (proteine non completamente digerite, batteri e sostanze tossiche) che il nostro organismo riconosce come intruse e attacca con specifici anticorpi. Fin qui il processo attivato sarebbe normale, i problemi iniziano quando questa permebilità permette il passaggio di molecole simili a quelle dei nostri stessi tessuti, verso cui, una volta contenuta l’aggressione dall’esterno, il nostro sistema immunitario riserva le sue attenzioni. Ecco che l’aumento di allergie, intolleranze e malattie autoimmuni dilaga.

Di queste cose si è occupato brillantemente un nostro connazionale, il Professor Alessio Fasano, illustre “cervello in fuga” che negli Stati Uniti ha potuto studiare approfonditamente la sindrome della permeabilità intestinale (Leaky Gut Syndrome) individuando una proteina, la zonulina, responsabile di regolare le giunzioni tra le cellule dell’epitelio intestinale.

Senza voler scendere in ulteriori dettagli scientifici per cui rimando direttamente alle fonti citate, ritengo che la miglior strategia per contenere gli effetti nefasti derivanti da una alimentazione “inquinata” da schifezze di ogni genere sia conoscere il nostro corpo, come funziona e, di conseguenza, dargli ciò che chiede.

Riferimenti e fonti:
Jose C. Clemente, Luke K. Ursell, Laura Wegener Parfrey and Rob Knight “The Impact of the Gut Microbiota on Human Health: An Integrative View“.
A. Fasano “Zonulin, regulation of tight junctions, and autoimmune diseases

Continua a leggere la seconda parte dell’articolo

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La dieta, questa sconosciuta – parte 10

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

L’emoglobina glicata quindi ci svela quanti zuccheri in eccesso abbiamo introdotto con l’alimentazione.

In realtà la questione è un po’ più complicata di così perché esistono altre disfunzioni che potrebbero condizionare il livello di emoglobina glicata ma la semplificazione che sto per descrivere è comunque coerente e rispettosa delle conoscenze ad oggi consolidate in ambito medico. Dunque, se mangiamo molti zuccheri (specialmente ad alto indice glicemico) la glicemia nel nostro sangue si alza rapidamente e il nostro organismo inizia il processo di abbattimento di quest’ultima facendo produrre al pancreas insulina. Ora, poiché i recettori cellulari sensibili all’insulina non funzionano passivamente accade che se gli zuccheri nel sangue sono frequentemente alti i recettori si “assuefanno” allo stimolo insulinico sviluppando quella che si chiama resistenza insulinica.

Questo accade perché le cellule non possono assorbire zuccheri e altri nutrienti all’infinito e quindi per “difendersi” si assuefanno desensibilizzandosi all’insulina che per svolgere il suo compito deve essere in concentrazione sempre più elevata. Da questo ne consegue che, da un lato che le cellule del pancreas che secernono l’insulina si sfiancano, e dall’altro le cellule dei nostri tessuti assorbono sempre meno zucchero lasciando agl’altri due sistemi tampone il compito di drenare gli zuccheri in accesso. A questo punto è interessante capire che se non si è sportivi di medio-alto livello il sistema di trasformazione degli zuccheri in glicogeno ci aiuta poco in quanto le nostre scorte della preziosa molecola saranno quasi sempre piene. Ecco allora che buona parte del lavoro di abbattimento degli zuccheri nel sangue viene affidato al processo di glicazione dell’emoglobina.

Esistono soluzioni alternative a tutto questo? Evidentemente sì! Abbattere la quota di carboidrati nella nostra dieta è un’ottima strategia. Chi scrive non segue una alimentazione strettamente “low carb” ma vi può assicurare di aver pedalato per 200 km e oltre (per i più maliziosi: tutti in una volta) con apporti glucidici inferiori 30% del totale delle calorie assunte.

Attenzione però che passare da una dieta tradizionale dove la media dei carboidrati giornalieri si aggira su quote intorno al 60% ad una tendenzialmente “low carb” non è cosa da farsi con leggerezza. Personalmente tanti anni fa quando ho iniziato il mio percorso iniziai sostituendo gli alimenti a più alto indice glicemico con alimenti integrali (ebbene sì ho mangiato anche io i cereali!). Poi, scendendo con la quota di carboidrati è indispensabile risvegliare la nostra capacità di trarre energia dai grassi.

Esiste poi una interessantissima “nuova frontiera” che si prefigge l’obiettivo di aumentare la quantità e la vitalità dei mitocondri (sono le “centrali energetiche” delle nostre cellule) ma, come intuite, questi saranno gli argomenti di prossimi post.

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La dieta, questa sconosciuta – parte 9

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Un altro problema dei cereali è legato al loro stoccaggio e alla pratica di miscelarne tipi di diversa provenienza.

Il gioco è un po’ come quello del Made in Italy ovvero: “produco all’estero ma rifinisco in Italia e pertanto posso apporre l’etichetta sinonimo di qualità!”. Per le farine spesso i produttori miscelano farine nostrali e farine provenienti da paesi dove i controlli fito-sanitari non sono molto stringenti (Africa in genere) o di paesi che applicano politiche permissive verso gli OGM (tipicamente i paesi del Nord America) o ancora che hanno politiche sui prezzi particolarmente aggressive (di solito i paesi dell’Est Europa). Tutto questo fa sì che le farine presenti in varia forma (ricordatevi che anche molti insaccati contengono farina!) sulle nostre tavole siano di fatto di scarsissima qualità. Come se l’elevata presenza di micotossine non bastasse a stare alla larga da questi prodotti c’è un problema che definirei “strutturale” altrettanto dannoso (se non di più) per la nostra salute.

La raffinazione porta con se la perdita di tutta la parte “esterna” (germe e crusca) del chicco di grano ricca di fibre e micronutrienti. Questo fa sì che la parte rimanente chiamata scientificamente endosperma sia il componente principale della farina che finisce così per avere un profilo alimentare fortemente spostato verso i carboidrati al elevato indice glicemico. Cosa vuol dire tutto questo? L’indice glicemico (IG) è la proprietà di ogni alimento di far aumentare la glicemia nel nostro sangue in un periodo di tempo sempre uguale (tipicamente due ore). Il glucosio con indice uguale a 100 è il parametro rispetto al quale si posizionano tutti gli altri alimenti. Bene, i trasformati/derivati delle farine bianche si posizionano tutti tra quota 70 e 115; sì avete capito bene ci sono prodotti derivati dalle farine bianche che vi fanno alzare la glicemia più rapidamente del glucosio puro.

Come già scritto nei precedenti post l’aumento repentino della glicemia non è “tollerato” dal nostro organismo che si attrezza immediatamente per scongiurare i danni potenziali derivanti da un livello elevato di zuccheri nel sangue.

Abbiamo già visto che l’insulina prodotta dal pancreas e il glicogeno sintetizzato dal fegato cercano di abbassare quanto più possibile il livello di zuccheri nel sangue. E quando non ci riescono? In questo caso esiste un terzo processo “tampone” chiamato glicazione (detta anche glicosilazione non enzimatica). In questo caso le molecole degli zuccheri si legano ad una proteina dando origine ai tanto temuti AGEs (advanced glycation end products) che di fatto pregiudicano il normale funzionamento delle proteine o delle biomolecole originali. Di questi processi quello più conosciuto è la glicazione dell’emoglobina.

In particolare questo processo e l’esame che ne rileva il livello ematico, sono molto importanti per determinare il nostro “stile alimentare” e il numero (o meglio l’effetto) dei “picchi” glicemici a cui sottoponiamo il nostro organismo. Infatti l’emoglobina che normalmente trasporta ossigeno dai polmoni alle cellule e anidride carbonica da quest’ultime ai polmoni, un volta glicata perde la sua capacità di “legarsi” ai due gas. Questa di per se è una cattiva notizia ma, avendo l’emoglobina una emivita di circa 120 giorni, il livello della sua presenza nel sangue ci racconta cosa è successo nel nostro organismo negl’ultimi tre mesi.

I medici di solito usano l’esame dell’emoglobina glicata come discriminante per la diagnosi di diabete di tipo alimentare. In realtà anche valori sotto soglia ma comunque alti possono indicare che il nostro organismo è sottoposto con una certa frequenza a “picchi” glicemici.
Da questo capite che il discorso è ancora lungo e quindi non mi rimane che rimandarvi alle prossime puntate!

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 8

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Una volta infatti la selezione delle sementi avveniva con un processo che si limitava ad accelerare la naturale selezione naturale. Facciamo un esempio. Su un appezzamento di terra coltivato a pomodori il contadino selezionava i semi partendo dalle piante che più di altre avevano dimostrato di adattarsi bene al terreno e alle condizioni climatiche più svantaggiose (freddo/caldo siccità/abbondanza d’acqua). Così facendo l’agricoltore si garantiva anno dopo anno un raccolto sempre più “resistente” alle condizioni ambientali del suo territorio. Un esempio millenario sono i vitigni che a seconda delle zone si sono sviluppati in tipologie anche molto diverse tra loro.

Fin qui abbiamo detto che d’accordo o meno con il mangiare cereali e legumi, quello che ha fatto l’uomo ha rispettato il corso della natura.
Dopo Hiroshima qualche “genio” notando che alcune piantine riuscivano a crescere anche in terreni al elevatissima contaminazione radioattiva, ha iniziato a pensare che esporre i semi a radiazioni fosse un buon modo per selezionare quelli più resistenti. Peccato però che anni dopo ci siamo accorti che quelle esposizioni mutavano geneticamente il seme in un modo che al quel tempo (parliamo degl’anni ’50-’60) non era indagabile con moderne tecniche genetiche.

Ora, siccome noi italiano siamo più furbi di tutti che abbiamo fatto? Nel 1974 (ma potrebbe essere anche il 1975) con un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) abbiamo esposto grano duro della varietà “Senatore Cappelli” ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica. Non contenti poi abbiamo incrociato il risultato con una varietà americana. Dopo tutte queste angherie genetiche la pianta del grano era diventata più piccola ma con caratteristiche di velocità di crescita e produttività molto più elevate. Era nato il grano “Creso” con cui oggi credo si produca non meno del 90% della pasta e dei prodotti di forneria venduta in Italia.

A tutto questo dovrebbero pensare coloro che ritengono che nella comunità europea siccome si vietano gli OGM siamo al riparo dalle manipolazioni genetiche. Almeno gli OGM, che per inciso aborro, alterano selettivamente alcuni geni, le nostre selezioni hanno alterato per decenni i geni in modo del tutto casuale basandosi su cosa “usciva fuori” piuttosto che su cosa c’era “dentro” al seme selezionato.

Ora, senza andare tanto per le lunghe e tornando all’alimentazione, va detto che gli scopi principali delle selezioni effettuate negli ultimi cento anni nel cereale più coltivato (il grano) sono state:

  • Aumento della produzione per ettaro quadro
  • Maggiore resistenza a intemperie e parassiti
  • Miglior lavorabilità del prodotto finito (la farina)

E, indovinate un po’? Secondo voi (lasciando da parte gli scempi ambientali delle colture intensive) con queste manipolazioni cosa è aumentato esponenzialmente nel chicco del grano? Bravi, proprio il glutine, la gliadina, la WGA e le lectine!

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 7

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Eccoci dunque ai cereali.
Conoscete Antonio Fasano? No?
Peccato perché questo signore oltre ad essere uno dei tanti cervelli in fuga dal nostro paese è anche uno dei medici più esperti del pianeta in tema di permeabilità intestinale (leaky gut).

La permeabilità intestinale è quella sindrome che per dirla semplicemente allarga le maglie del nostro intestino permettendo il passaggio nel torrente ematico di sostanze (batteri, tossine e proteine mal digerite) che nel sangue di norma non ci dovrebbero stare.
Ora non voglio farla tanto complicata (come in realtà è) ma per adesso basta sapere che se ai batteri e alle tossine il nostro corpo cerca di far fronte con le difese anticorpali, alle proteine non ancora completamente demolite in singoli aminoacidi il corpo risponde in varia maniera tra cui, quella più pericolosa, è quella di sviluppare per queste proteine una risposta anticorpale. Peccato però che queste proteine semi-digerite sono molto simili a quelle prodotte da alcuni organi del nostro corpo. Quando termina la difesa (legittima) contro gli intrusi i nostri anticorpi cosa credete che facciano? Attaccano le nostre stesse strutture sviluppando quelle che vengono comunemente chiamate malattie autoimmuni.

Sempre il Dott. Fasano individua in alcune sostanze a base proteica come la gliadina e la WGA (wheat germ agglutinin – agglutinina del germe di grano) i principali responsabili della sindrome dell’intestino permeabile.
E indovinate dove si trovano queste sostanze in massima concentrazione? Bingo, nei cereali! Per la gliadina il grano poi, è proprio una bestia nera!

Ma le brutte notizie non si fermano a gliadina e WGA, tra gli altri responsabili dei problemi intestinali ci sono anche le lectine che si trovano, oltre che nei cereali, anche nei legumi.
Non sono solito demonizzare qualcosa, e infatti nel mio blog racconto come usare queste classi di alimenti minimizzandone gli effetti nefasti, ma continuo a sostenere che senza cereali si possa vivere proprio bene.

Inoltre, siccome a noi uomini moderni ci piace fare gli apprendisti stregoni con l’avvento dell’agricoltura abbiamo iniziato a fare i selezionatori di specie. Giusto per dare due pennellate su questo tema dirò che se in linea di principio quello fatto dagli agricoltori negli ultimi 10.000 anni ha rispettato i processi di riproduzione naturale, negli ultimi cento anni abbiamo raggiunto comportamenti (come genere umano intendo) a dir poco raccapriccianti, ma questo conto di raccontarlo nella prossima puntata.

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 6

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Premesso che ho massimo rispetto per tutti coloro che hanno preso la strada vegetariana o vegana per motivi etici, per tutte le altre motivazioni sono molto deciso nel difendere la posizione che l’essere umano si è evoluto per essere un animale onnivoro. Questo è evidente dalla struttura del nostro intestino che è un ibrido tra quello di un carnivoro ed un erbivoro. Se fossimo solo carnivori il nostro intestino sarebbe molto più corto (es: l’intestino di un leone) e capace di digerire più efficientemente le proteine animali; se fossimo totalmente erbivori avremmo un intestino molto più lungo e capace di digerire le fibre. Ed invece no, abbiamo un ibrido diviso in tre settori ognuno dei quali in grado di digerire meglio alcuni macronutrienti. Sarà un caso? Io, e con me un sacco di studiosi ben più blasonati, dicono di no!

Come detto non entro nelle scelte etiche delle persone ma a me appare chiaro che per nutrici qualcuno si deve sacrificare che sia la piantina di cavolini di Bruxelles o il pollo ruspante, qualcuno o qualcosa (per chi crede che le piante non abbiano una loro intelligenza e sensibilità) deve morire perché la nostra vita continui.
Nelle antiche popolazioni primitive i cacciatori pregavano sul cadavere della preda per ringraziarla dell’essersi sacrificata per la loro vita. Un caso anche questo? Credo di no!

Per fugare ogni dubbio dico anche che io sono per gli animali allevati al pascolo (grass fed). Volete mettere la differenza tra un vitello che in 18 mesi di vita vede solo la sua mangiatoia e un suo simile che scorrazza libero in un vallone di mezza montagna per 36 mesi (si perché tanto ci vuole per far crescere in modo naturale un vitello)? Anche senza voler scomodare le “energie sottili” e le teorie che asseriscono che sia presente nella carne degli animali allevati e macellati tra mille crudeltà la “memoria” di un’energia negativa, dico che un vitello che per tre anni scorrazza scodinzolando tra alberi e prati verdi non abbia poi una brutta vita. Se un giorno tutto questo finisce secondo un ciclo che assomiglia molto a quello in cui un gruppo di ominidi a caccia di grossi erbivori non mi pare molto peggio (ed irriguardoso nei confronti dell’ecosistema) di ettari ed ettari di colture tirate su a fertilizzanti chimici e antiparassitari!

Se poi vogliamo scendere sul piano più tecnico possiamo parlare dei valori nutrizionali di una carne sana come quella allevata allo stato brado. Tanto per dare due numeri pensate che mangiando carne di questo tipo non ci sarebbe bisogno di alcuna supplementazione di omega3. Infatti si crede che questi acidi grassi siano una caratteristica esclusiva del pesce azzurro, invece una carne del genere ha un rapporto omega6/omega3 di 4:1 cioè ottimale per il nostro organismo, mentre quella da allevamento intensivo arriva a rapporti del tipo 20:1!
Allora, considerando che gli omega6 hanno il ruolo di promuovere processi di infiammatori (di per se fisiologici e benefici entro certi limiti) e gli omega3 hanno quello di ridurre l’infiammazione dovrebbe apparire chiaro che non è la carne in se che fa male ma la carne di scarsa qualità!
E indovinate chi sono i responsabili di tutto ciò? I cereali che vengono dati a forza ad animali che in natura tutto mangiano tranne che i cereali.

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 4

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Alla fine del nostro ragionamento dunque poco importa se i grassi alla lunga ci darebbero un saldo energetico migliore e ancor meno se il fegato (in particolari condizioni) va in uno stato chiamato chetosi che lo mette in grado di produrre a partire dal grasso i chetoni (molecole simili ai carboidrati in grado di superare la barriera ematoencefalica e di nutrire ottimamente i nostri neuroni).

Ecco che l’iniziale affermazione mangi grasso diventi grasso ottiene una spiegazione razionale e che ha poco a che fare con questo macronutriente ingiustamente demonizzato.

In altre parole si verifica il paradosso in cui la nostra condizione di “conservatori di energia” per dirla brutalmente ci “frega” e ci porta a rendere vera l’equazione mangi grasso, diventi grasso. Si tratta però di una eccezione perché solo in abbondanza di carboidrati (essi stessi convertiti in grasso) i grassi vengono destinati a scorta e non a propellente energetico. Se così è allora perché ci siamo evoluti in modo apparentemente così bizzarro? La risposta è semplice (e poco bizzarra): perché 100.000 anni fa non c’era l’agricoltura, gli allevamenti intensivi, le bibite gassate i “Mc biiiip” e la TV e, di conseguenza, i carboidrati raffinati e ad alto indice glicemico non esistevano. O meglio, i carboidrati ad alto indice glicemico esistevano ma qualsiasi ominide ci pensava molto bene prima di mettere le mani dentro ad un favo per prendere un po’ di miele.

A questo punto qualcuno di voi affermerà: “Ok, capito tutto, vendo le mie proprietà e vado a vivere in una tribù di cacciatori-raccoglitori del Borneo!”
Per chi lo desidera quella scherzosamente descritta è una possibilità ma, realisticamente, riappropriarsi della propria “vita alimentare” può essere fatto con scelte decisamente meno drastiche. Certo non sarò uno di quelli che vi dirà che con due barrette, un frullato e tre tisane ritornerete a posto ma, al contrario, vi dirò che mangiare bene e fare la giusta attività fisica è la migliore dimostrazione di quanto vi volete bene.

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 3

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Abbiamo visto quindi che per alimentarsi con i grassi è necessario stare alla larga dai carboidrati ed in particolare da quelli ad elevato indice glicemico.

Quando introduciamo nel nostro organismo abbondanti quantità di carboidrati tutti i sistemi di riconoscimento, digestione, assorbimento e gestione di questo micronutriente si attivano. Fin qui niente di male visto che siamo “progettati” per fare tutto ciò. In fondo il nostro cervello è una macchina che va a zucchero ed è normale quindi che faccia il tifo perché il nostro organismo gliene fornisca in quantità costante.

Eccoci al punto focale: la quantità! Il cervello è l’organo più avido di zuccheri ma, udite udite gliene sono sufficienti 4 grammi l’ora. State iniziando a fare un po’ di conti? No? Peccato, perché a questo punto realizzare che una “innocua” fetta di pane bianco da 40 grammi contiene circa 20-24 grammi di carboidrati dovrebbe suggerirvi qualcosa. Considerando che nel sangue il nostro organismo mantiene una quantità di zuccheri compresa tra i 5 ei 10 grammi dobbiamo ricorrere ai cosiddetti sistemi tampone. Se abbiamo introdotto carboidrati a basso indice glicemico, che rilasciano lentamente nel sangue zuccheri allora possiamo sperare che il nostro organismo converta in glicogeno gli zuccheri in eccesso. Il glicogeno (lo sanno bene gli atleti di endurance) non è immagazzinabile all’infinito. Fegato e muscoli sono i depositi del glicogeno e in diversa proporzione possono arrivare in soggetti molto allenati a “stoccare” 7-800 gr di glicogeno.

Allora è fatta direte voi, sai quante fette di pane mi posso mangiare prima di aver saturato le mie scorte di glicogeno! Peccato però che il glicogeno si consuma solo ad elevate frequenze cardiache e che nella normale vita da “impiegati” bruciamo soprattutto grassi. Succede quindi che le nostre scorte sono quasi sempre piene e che non c’è spazio per nuovo glicogeno.

Ecco allora che il nostro sistema endocrino per scongiurare che permangano nel sangue grandi quantità di carboidrati (che danneggerebbero diversi organi) inizia una massiva produzione di insulina (ormone che permette l’attraversamento della membrana cellulare da parte dei micronutrienti). Con l’insulina il nostro corpo rastrella gli zuccheri di troppo e convertendoli il trigliceridi li “parcheggia” nelle cellule adipose (adipociti).

(Continua…)

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La dieta, questa sconosciuta – parte 2

DISCLAIMER E NOTE LEGALI

Per adesso ciò che è importante e che consegue da quanto scritto è che anche se non trascurabile non è massimamente importante la quantità di calorie che assumiamo ma come e da cosa le assumiamo.

Il fatto che la mia bocca veda transitare al suo interno il corrispettivo di 2000 Kcal. non significa affatto che il mio intestino le assimili prescindendo da tutte le altre condizioni. Per esempio è ben noto che per assimilare proteine il dispendio calorico del nostro corpo nella loro digestione varia dal 10% al 35%, per la stessa attività con i carboidrati si spende tra il 5% e il 10% e con i grassi dal 2% al 5%. Da questo si evince che la composizione di quello che mettiamo nel piatto non è per niente secondaria.

Essendo organismi biologici che vivono in conservazione di energia il nostro corpo si “accomoda” sempre in situazioni del tipo “massima resa – minima spesa”. Rispondere adesso alla domanda cosa assimila prima il nostro corpo se gli diamo tutti e tre i macronutrienti non dovrebbe difficile. Si sfata così un altro mito ovvero che i grassi fanno ingrassare. I grassi non si convertono in grasso se non vengono mangiati in associazione ai carboidrati. Infatti la cosa non detta è che sebbene i grassi sembrino la fonte di energia a miglior mercato la loro assimilazione ha un processo temporalmente più lungo di quella dei carboidrati.

Inoltre l’altra precisazione è che il 5-10% di 4 Kcal., tanto vale un grammo di carboidrati, è sempre meno del 3%-6% di 9 Kcal., che è il valore nutrizionale di un grammo di grassi. Tradotto in termini più semplici se mangiamo 10 grammi di zuccheri abbiamo un saldo positivo di 36 Kcal. (40 Kcal. di base meno 4 Kcal. per la digestione) mentre se mangiamo 10 grammi di grassi il saldo positivo sarà di 84,6 Kcal. (90 Kcal. di base meno 5,4 Kcal. per la digestione). Ora, può sembrare (ma non lo è) una pignoleria assurda il nostro organismo sottrae energia da un sistema già attivo e non calcola come abbiamo fatto noi quale sarà il saldo alla fine di tutto il processo.

Quindi, metabolicamente, la decisione che il nostro organismo prende è quella di usare i carboidrati perché questi ci permettono di avere tanta energia a basso costo ed in tempi brevi.

(Continua…)

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