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Supercompensazione: la chiave del miglioramento

Ho già scritto di allenamenti ad elevata intensità e di allenamenti ad elevato volume ma in ogni caso l’elemento che non può essere escluso quando si programma un allenamento è il capire se l’allenamento che abbiamo ideato è adatto a noi e ci permette di sfruttare al meglio la curva di supercompensazione.

Supercompensazione definizione: scopriamo cosa è

Vediamo con l’aiuto di Wikipedia una definizione di supercompensazione.

In termini più semplici permettere al nostro corpo di supecompensare significa dargli il tempo necessario affinché tutte le strutture (muscolari in primis) abbiano il tempo per recuperare e migliorare la proprie performance.

Supercompensazione e Allenamento

L’allenamento infatti è per il nostro corpo (che tende all’omeostasi come tutti i sistemi biologici) un momento di grande stress. Può sembrare strano ma mentre ci alleniamo le nostre prestazioni stanno peggiorando e non soltanto per la sensazione di fatica che proviamo ma perché l’intensità dello stimolo a cui ci stiamo sottoponendo erode via via le nostre capacità fisiologiche. Basta pensare ad un ciclista che per poter scattare in continuazione consuma progressivamente le sue scorte di glicogeno arrivando al punto di non avere più risorse per poter esprimere una prestazione massimale.

Il nostro organismo si difende dallo stress migliorando progressivamente le proprie capacità. Idealmente, se identifichiamo come punto “0” il punto da cui iniziamo l’allenamento, alla fine di quest’ultimo saremo al punto “-5”. Il nostro organismo attraverso un gran numero di processi fisiologici recupererà il suo svantaggio fino a portarsi di nuovo al punto “0” e, sarà a questo punto che i processi fisiologici che fino a quel momento hanno riportato in equilibrio (ovvero omeostasi) le nostre capacità continueranno la loro attività portando il nostro organismo al punto ”+5”.

La curva di supercompensazione

Dopo il raggiungimento della supercompensazione il corpo, che è programmato per ottimizzare il proprio dispendio energetico torna lentamente al suo “0” iniziale.

Da questo capite che per migliorare nella performance è di fondamentale importanza sfruttare quanto più possibile la curva di supercompensazione, se infatti il secondo stimolo allenante iniziasse quando ci troviamo nel punto “+5” l’effetto del nuovo stress potrebbe farci scendere al punto “0” anziché al punto “-5” come durante il primo allenamento. Ora, poiché tra il minimo raggiunto nel punto di massimo stress ed il massimo raggiunto con la supercompensazione ci sono nel nostro esempio 10 punti, risulterà evidente che se il processo di recupero e supercompensazione parte nel secondo allenamento dal punto “0” (anziché al punto “-5”) la nostra supercompensazione ci porterà al punto “+ 10”. Procedendo così ci troveremo ben presto a valori di prestazione ben più elevati di quelli di partenza.

Tutto molto bello e stimolante se non fosse per il fatto che non è così meccanico individuare il giusto stress allenante e individuare la finestra temporale in cui si raggiunge il punto massimo della supercompensazione. Inoltre, se è vero che più stress in generale significa più supercompensazione si deve stare molto attenti affinché uno stress allenante non si trasformi in un danno fisiologico (esempio sviluppo della sindrome da superallenamento) o, peggio, in un trauma.

Pensiamo ad esempio ad un sollevatore di pesi già ben allenato, le sue capacità fisiche gli permetteranno di affrontare allenamenti molto stressanti ma il rischio nel suo caso è che sfortunatamente non tutte le nostre componenti fisiologiche supercompensano nello stesso modo e con gli stessi tempi.

Le strutture tendinee ad esempio, essendo poco vascolarizzate, hanno tempi di adattamento ben più lunghi dei nostri muscoli. Ecco che non è infrequente trovare atleti esperti che incorrono con una certa frequenza in infortuni quali stiramenti e strappi muscolari. In questi casi questo tipo di infortuni è molto spesso a carico delle strutture tendinee che, essendo l’anello più debole della catena, non hanno avuto il tempo necessario per adattarsi agli accresciuti stimoli dati dall’allenamento. Un buon allenatore, preparatore o coach dovrà tenere in considerazione tutte le componenti stimolate dal gesto atletico del proprio assistito e modellare il programma di allenamento prevedendo oltre che la giusta alternanza tra allenamento e riposo anche specifiche sessioni di adattamento per le strutture agoniste coinvolte nel gesto atletico.

La supercompensazione nella preparazione atletica

Progettare la preparazione atletica di una squadra di basket o pallavvolo pensando che il miglioramento delle performance di salto derivino solo da un miglioramento muscolare sarebbe un clamoroso errore.
Sfortunatamente muscoli e tendini non supercompensano nello stesso periodo e se per i primi è pensabile di dispensare stimoli allenanti ogni 36-48 ore per i secondi sono necessari tra 4 e i 6 giorni per il pieno recupero.

In particolare, vista la limitata capacità di crescita delle strutture tendinee sarebbe meglio parlare di adattamento allo stimolo più che di supercompensazione. Sofismi a parte la cosa importante da sapere è che non esiste una curva di miglioramento infinita e che un buon programma di allenamento deve prevedere l’alternanza di periodi (detti mesocicli) più intensi e periodi di recupero (le famose settimane di “scarico”). Allo stesso modo un bravo preparatore, pur tenendo presente il vostro gesto atletico, varierà da mesociclo a mesociclo lo stimolo allenante. Questo si rende necessario in quanto il nostro organismo fatica un bel po’ per supercompensare e quindi, appena può cerca di specializzarsi per fare lo stesso esercizio con il minor dispendio di energie possibile.

Sebbene suoni strano considerate che nell’atleta professionista è su questa leva che si ottengono i miglioramenti prestazionali migliori. Ecco quindi che se siamo lontani da una competizione il nostro corpo si formerà tanto meglio quanto saremo in grado di stimolarlo da angolazioni diverse. Ben inteso, questo non significa che ogni seduta di allenamento sarà una cosa diversa ma che nell’organizzazione generale dell’allenamento i mesocicli dovranno prevedere stimoli diversi pur lasciando invariato il target di allenamento. Ipotizzando di voler allenare in maniera specifica un atleta sulla componente della forza per due mesocicli consecutivi avrà poco senso riproporre dopo una pausa di scarico un secondo mesociclo identico al primo.

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Tipi di Proteina: ecco cosa devi sapere!

A fine allenamento capita spesso vedere negli spogliatoi chi, più o meno furtivamente, tira fuori dall’armadietto uno shaker pieno di proteine in polvere pronte per essere diluite con acqua.
Sono fermamente convinto che a parte atleti di punta che hanno necessità proteiche particolarmente elevate, una persona che si allena regolarmente anche 3-4 volte a settimana, stando un minimo attenta all’alimentazione, possa fare tranquillamente a meno dell’integrazione proteica.
Chiarito come la penso sull’argomento cercherò nel mio piccolo di fare un po’ di chiarezza sui vari tipi di proteina e sul loro impiego migliore.

Proteine del siero di latte

Partiamo dalle proteine del siero del latte che, con un valore biologico molto elevato (104), sono probabilmente tra le più vendute sul mercato. In virtù di questo successo i produttori hanno progressivamente diversificato la loro offerta proponendo alcune varianti.

Le proteine del siero del latte concentrate vengono ottenute per ultrafiltrazione e sono a tutt’oggi tra le più diffuse sugli scaffali di integratori. Il loro contenuto proteico varia dal 75% all’85% ma a fronte di un apporto di grassi intorno a 5%. La loro buona qualità le rende quindi un best-buy.

Le proteine del siero di latte isolate sono ottenute principalmente da due processi, la microfiltrazione a flusso incrociato (CFM) e lo scambio ionico (IE). Questi metodi permettono di ottenere polveri con concentrazioni proteiche comprese tra l’85-95% di proteine. Questi processi inoltre garantiscono anche una ridotta presenza di grassi e carboidrati, l’assenza di colesterolo (presente invece nelle concentrate) e ridottissime quantità di lattosio (tra 0,1 e 0,3 %).

Questo tipo di proteine potrebbero quindi essere utilizzate (con le dovute cautele) anche da persone intolleranti al lattosio. Purtroppo però un filtraggio così “aggressivo” finisce per denaturare il prodotto rendendolo molto più povero anche in termini di apporto minerale (calcio in particolare). Addirittura nell’estrazione per scambio ionico vengono perse alcune importanti frazioni peptidiche che al contrario si “salvano” nel processo per microfiltrazione.

Personalmente preferisco le microfiltrate perché pur offrendo quote proteiche un po’ più basse rispetto alle proteine del siero del latte isolate a scambio ionico, le prime offrono quote più alte delle frazioni peptidiche bio-attive che alcuni studi indicano come capaci indurre e supportare i processi di costruzione muscolare.

Infatti, come nelle proteine ottenute con lo scambio ionico anche nell’isolato proteico ottenuto per microfiltrazione la quota proteica è normalmente superiore al 90%, mentre le percentuali di lattosio e grassi sono inferiori all’1%.

Il fatto quindi che le proteine del siero del latte isolate con la microfiltrazione offrono un migliore profilo amminoacidico. In particolare le proteine isolate mediante microfiltrazione hanno un maggior contenuto di calcio e quote sensibilmente più basse di sodio (responsabile in parte della maggiore ritenzione di liquidi).

Proteine della caseina

Le proteine della caseina hanno un valore biologico più basso (77) rispetto alle proteine del siero del latte.

Tecnicamente la caseina è il caglio che si ottiene dalla divisione dal siero ed ha la caratteristica di assorbire molta acqua. Non è un caso infatti che questo tipo di proteine siano usate come base dei cosiddetti pasti sostitutivi perché il maggior volume ottenibile con quest’ultime induce con più facilità senso di sazietà.

Inoltre le proteine della caseina avendo una struttura molecolare più complessa sono di più lenta digestione. Per questo motivo le proteine della caseina vengono usate quando si desidera un assorbimento lento e prolungato. È il caso per esempio di coloro che usano questo tipo di proteine nello spuntino pre-nanna per garantirsi un apporto proteico costante durante tutta la notte.

Personalmente ho sperimentato questo tipo di alimentazione e se da un lato è vero che l’apporto proteico a lento rilascio garantito dalle proteine della caseina offre al corpo i “mattoni” per costruire durante la notte nuovo tessuto muscolare è anche vero che queste (come le altre) proteine pur non contenendo quantità rilevanti di zuccheri inducono un rilascio di insulina (non solo di glucagone!), ormone che interferisce con la normale produzione di GH e Testosterone.

In altre parole avendo un elevato apporto proteico durante la notte abbiamo il materiale da costruzione ma ci mancheranno i costruttori (ovvero gli ormoni). Il GH in particolare si massimizza quando la glicemia è bassa e il corpo in stato di digiuno. Personalmente infatti ho messo su più massa muscolare quando ho seguito periodi di digiuno intermittente piuttosto che periodi in cui ho sperimentato gli spuntini pre-nanna (ma di questo parlerò in un altro articolo).

Proteine dell’uovo

Le proteine dell’uovo hanno un’ottima qualità e contengono uno spettro amminoacidico ottimale per l’essere umano.

Il loro valore biologico (100) sebbene più basso è prossimo a quello delle proteine del siero del latte, facendo delle proteine d’albume d’uovo la scelta ideale per tutti coloro che non tollerano i derivati del latte.

Altro dato interessante è dato dal tempo di digestione di queste proteine che si pone a metà strada tra le sieroproteine (più veloci) e le caseine (più lente); non solo, il particolare spettro amminoacidico conferisce a queste proteine un ottimo potere saziante.

I duri e puri del bodybuilding ne consigliano l’uso dopo l’allenamento in quanto sembra che le buone quantità di arginina presenti nello spettro amminoacidico aumenti, in associazione con i carboidrati, i livelli di insulina.

Proteine di soia

Ho lasciato per ultimo le proteine di soia in quanto oltre ad avere un più basso valore biologico potrebbero contenere alcuni antinutrienti, compresi gli inibitori della tripsina, responsabile della digestione delle proteine.

Anche le significative quantità di fitati presenti nella soia mi lasciano un po’ scettico sulla qualità di questo tipo di prodotto. I fitati infatti, legandosi a minerali come calcio, magnesio, manganese, zinco, rame e ferro, ne riducono l’assorbimento.

Inoltre le proteine della soia tendono ad assorbire molta acqua ed aumentare di volume e a non essere sempre di facile solubilità.
Per contro (e per onestà intellettuale) molti vegetariani e vegani che le utilizzano citano spesso studi secondo cui la presenza di genisteina ed altri isoflavoni avrebbero effetti benefici sulla salute.

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